Oggi pubblichiamo la prima parte di questa storia. Vista la lunghezza del racconto, abbiamo deciso di pubblicarlo in più puntate. Restate nei dintorni!
Oggi sto per compiere 28 anni. A 23 mi sono laureata nei tempi e con il massimo dei voti. Piena di grinta e vogliosa di avventura, avevo in mano un biglietto di sola andata per l’isola di Malta: mi ero iscritta ad una scuola di inglese, e poi chissà!
Mi sentivo così viva e forte sulle mie gambe, che ero pronta a lasciare quel microcosmo morbido e colorato che mi ero costruita tassello dopo tassello: la mia famiglia, il mio cane, gli amici, il volontariato con i clown di corsia. Il mio mondo.
Non era la prima volta che partivo per mesi ed ho sempre vissuto con molta sofferenza le separazioni, eppure il pensiero di quell’imminente distacco non mi faceva paura. Era più forte la voglia di partire con una reflex al collo, ora che ne avevo una. Mi sentivo libera di mollare gli ormeggi e salpare. Pochi giorni dopo la mia laurea, però, ho iniziato a manifestare un senso di malessere, di depressione. In una settimana mi spuntò il primo dente del giudizio e l’infiammazione che ne conseguì mi costrinse a prendere l’antibiotico, che mi fece allergia. Ricordo di aver pianto tanto, ma solo ora leggo con chiarezza il mio grido profondo. Il mio pianto parlava anche d’altro.
Dovetti annullare la partenza, anche perché, proprio in quel frangente, iniziò la rivolta nella vicina Libia e non era proprio il caso di avventurarsi da quelle parti. Inoltre, successe qualcos’altro: mi innamorai, in pochi giorni, ma perdutamente. A quel punto decisi che avrei posticipato il viaggio.
Intanto, però, qualcosa si era scatenato dentro di me ed io mi sentivo fragile. Da lì a pochi mesi arrivò, infatti, il primo sintomo riconducibile alla SM. Oggi so che si chiama ”parestesia”, allora però non riuscivo a spiegarmi quella spiacevole e crescente sensazione di freddo ed ipersensibilità che avvertivo alla gamba sinistra. Quando me la accarezzavo era come se mi graffiassi, e l’ansia si impadroniva di me.
Qualche giorno dopo, alla fine di un servizio di volontariato in ospedale con i miei clown di corsia, esasperata e preoccupata, andai al pronto soccorso e spiegai cosa avvertivo. Mi dissero di rivolgermi ad un ospedale più grande che era poco distante e questo, naturalmente, non mi rassicurò. Il neurologo che mi visitò concluse che ero soltanto stressata e che dovevo stare a riposo: in fondo mi ero laureata da poco ma, a questa risposta, a me sembrò di impazzire. All’attenuarsi del sintomo, ripresi lucidità e collegai che, proprio qualche giorno prima che si manifestasse la parestesia, ad uno spettacolo con i clown di corsia avevo fatto una spaccata senza scaldarmi a dovere. Forse avevo avuto uno stiramento, in fondo ci poteva stare e le mie sensazioni potevano allora essere attribuite a quell’episodio. Il sintomo regredì fino a sparire e mi misi l’anima in pace.
Passai un’estate tranquilla fino ai primi di settembre, quando avvertì una ”schicchera” dietro la nuca, come una scossa elettrica e iniziai, giorno dopo giorno, a perdere progressivamente l’equilibrio. Mi rivolsi al medico di famiglia che mi diede degli integratori: faceva caldo e la mia pressione era molto bassa, non fa una piega, no? E invece la mia vista iniziò a sdoppiarsi. Fu panico. Sentivo che qualcosa si stava impadronendo di me. Ricordo che una volta mi successe mentre stavo guidando e allora chiusi un occhio per vedere una sola strada. Questo mi provocò tante lacrime e tanta paura, ero disperata. Questi malesseri vennero curati dal medico di base come ”labirintite”, una banale ma fastidiosissima patologia passeggera che coinvolge il labirinto dell’orecchio. Ci risi su, dato il nome bizzarro. Pensai che fosse proprio la malattia del clown. Ancora una volta i sintomi passarono e con questi la paura. Mi rimboccai le maniche: non avevo le energie per riprendere il mio progetto di viaggio, ma qualcosa dovevo pur fare! Mi iscrissi ad una scuola di massaggi (forse una parte di me sapeva già che mi avrebbe aiutata ad avere più consapevolezza del mio corpo), mi trasferii in una casa con altri studenti vicino all’università ed iniziai la specialistica.
Nel frattempo frequentavo un corso di giocoleria e, durante l’estate, dipinsi tutto. Volevo cambiare colore ad ogni cosa, trasformavo le paure e coprendo il mio dolore. Tutto riprendeva a girare come doveva, perché quando hai 23 anni sei un vulcano di energia pronto ad affacciarsi alla vita. Ecco, forse io devo essermi sporta un po’ troppo perché mi tornarono le vertigini e il mondo si sdoppiò ancora.
Dopo questo ennesimo sintomo intervenne la mia mamma. Anche lei per lungo tempo si era convinta si trattasse solo di stress, ma quella volta volle vederci chiaro e mi portò da un bravo neurologo. Per assurdo, proprio in quel periodo, avevo ricominciato a ballare e al corso di giocoleria avevo provato l’arte dei tessuti aerei. Alla visita risposi bene a tutti i test, ma gli episodi di sdoppiamento della vista non convinsero il dottore, che mi prescrisse una risonanza magnetica senza liquido di contrasto. Tuttavia concluse che secondo lui ero una perfezionista e mi consigliò di prendere in considerazione l’introduzione di ansiolitici. Lo stesso medico, al secondo appuntamento e con la risonanza magnetica in mano, però, iniziò a parlarmi di “mielina”. Lo interruppi subito ed esclamai: ”Dottore mi sta dicendo che ho la sclerosi multipla?” Lui iniziò a spiegarmi a grandi linee cos’è anche se, in parte, lo sapevo già: anni prima, guidata da non so quale istinto, mi ero documentata in rete.
Di quel momento così violento ricordo di aver provato, insieme alla disperazione che si prova quando si viene a conoscenza di avere una malattia che non passa, anche un gran senso di sollievo. Finalmente sapevo contro cosa stavo lottando. Finalmente fu chiaro che non ero “pazza”, o semplicemente stressata. Usciti da quella stanza abbracciai mia madre e tra le lacrime le dissi “mamma ti farò disperare!”. Immaginare di creare dolore a chi mi era acconto, mi faceva stare male.
Quando aprì gli occhi dopo quel pianto, però, mi guardai intorno e nel cuore ringraziai chi aveva arredato quel centro di analisi: con quelle belle stampe di Monet, Degas, Renoir, chi aveva ben intuito che in quel corridoio c’era bisogno di colore!
Realizzai immediatamente che la vita, era più forte di me. Mamma e papà restarono apparentemente calmi, mi tranquillizzarono e non mi fecero sentire la loro paura. Tornammo a casa tutti insieme, nonostante i miei genitori siano separati da tempo. Sentii immediatamente una spinta vitale attraversarmi quando vidi il mio cane venirmi incontro con la sua pallina e fare un gran casino. Non potei che gioire. Seduti davanti al camino, facemmo passare serenamente quel pomeriggio, uniti e forti.
Forza e coraggio viaggiamo sullo stesso treno. Ciao Terenzio
Mi piace, anch’io ho il tuo stesso nome e condivido la tua situazione.
mi hai fatto venire i brividi poiché anch’io non sapendo ancora di avere la sclerosi mi ero già documentata! Un abbraccio enorme