Tutto quello che avreste voluto sapere sulla ricerca scientifica (ma non avete mai osato chiedere) – questo viaggio negli studi e nella vita delle persone che dedicano la propria vita alla ricerca scientifica – è iniziato con Roberto Furlan e con lui termina.
Il primo post dell’ iniziativa – organizzata in occasione de La Settimana Nazionale della SM 2012 – è stato un suo testo immaginifico (ma non troppo) sulla ricerca come mentalità, come cultura. Roberto, che lavora presso l’Unità di Neuroimmunologia clinica, IRCCS San Raffaele di Milano, ed è membro del Comitato scientifico FISM, scrive: “Quando dico che AISM ha soprattutto cambiato la cultura di fare ricerca, molti pensano sia retorica, ed invece è una pura constatazione. Credo che AISM abbia le risorse umane per cambiare la cultura anche in altri ambiti.”
Oggi, a conclusione del ciclo, vi presentiamo un altro testo di Furlan, anche questo molto intenso, in cui ci spiega la difficoltà del ricercatore di tradurre il linguaggio della scienza in quello delle emozioni delle persone con SM.
Cogliamo l’occasione per ringraziare tutti: i blogger che sono stati fantastici intervistatori, i ricercatori che si sono prestati a questa iniziativa un po’ fuori dagli schemi della comunicazione scientifica cui sono abituati, e tutti voi che avete commento e partecipato. Speriamo che le interviste vi siano piaciute, noi non facciamo altro che leggerle e rileggerle 😉
Al prossimo anno!
Parlo il tedesco, è la mia madrelingua. Parlo l’italiano, è la lingua del mio cuore. Parlo l’inglese, è la lingua del mio lavoro. Parlo il portoghese, regalo di tre mesi in Brasile a fare ricerca sulla SM. Spesso per questo, sin da bambino, mi dicono “traducimi questo” oppure mi chiedono “cos’ha detto?”. E io cado in crisi, perché tradurre è cosa diversa, e straordinariamente più difficile, che parlare lingue diverse. Si dice che il buon traduttore di prosa debba conoscere benissimo innanzitutto la lingua in cui scrive. Sembra evidente, ha senso, è quasi ovvio. Capire è possibile anche in una lingua diversa, esprimersi bene lo facciamo nella nostra.
AISM mi ha chiesto numerose volte di tradurre il mondo della scienza, della ricerca, delle scoperte, affinché un pubblico di pazienti e loro familiari possa comprendere. Qui la lingua è sempre quella, l’italiano, ma la traduzione molto, molto più difficile.
Numeri tradotti in speranze, esperimenti che diventano sollievo o sogno di un futuro migliore, altri che sono una porta che si chiude, una possibilità che svanisce. E debbo tradurre in una lingua che non è la mia, che non so parlare, perché la SM non ce l’ho. La traduzione più difficile. Molte volte alla fine della conferenza ho guardato lo sguardo perso di alcune persone del mio uditorio e ho pensato “a questi non sono riuscito a spiegare niente”.
Mi piacerebbe essere aiutato da qualcuno che parla la lingua della SM, l’idioma delle false e vere speranze, delle certezze e delle illusioni, che mi aiuti a calibrare i sogni e le stroncature, che per me sono solo la differenza fra un esperimento riuscito o fallito.
Roberto Furlan
La lingua della sm nn credo sia una sola, è difficile comprenderla perchè il nostro corpo diventa una torre di Babele di tante voci diverse a volte. E ogni volta devi riaggiornare il sistema e x me nn è semplice perchè spesso il mio si mette in stand by da solo quando troppe voci parlano insieme 😛 Poi piano piano traduci una, capisci un’altra e si riassetta tutto e vivi capendo il tuo corpo la sm che si è esposta un pò di più fino al prossimo passo.
Grazie x non essere un camice bianco vuoto, questo x noi è già una certezza rispetto a tante parole.