Continua il racconto del mio viaggio americano e procede con un elemento non trascurabile per chi ha qualche difficoltà di movimento: l’accessibilità.
L’accessibilità a luoghi e mezzi è sicuramente importante per chi, come me, ha fatto un viaggio lungo tre settimane a bordo di una carrozzina. Se le lunghe distanze a piedi non sono il mio forte in Italia, figurarsi in un viaggio negli Stati Uniti: le strade americane, soprattutto nelle grandi città, non sono solo lunghe, ma anche molto larghe. Il traffico e la frenesia che le contraddistingue, uniti all’ampiezza dei luoghi e alla voglia di vedere il più possibile senza sprecare secondi preziosi, non si coniugavano facilmente con la lentezza di una camminata strana. Per quanto negli anni abbia imparato a “correre” anche con le stampelle sviluppando strategie tutte mie, era impensabile gestire e godersi un viaggio del genere senza quella carrozzina compagna di avventure.
In quei venti giorni ho assaporato il senso vero, il significato profondo della parola “accessibilità”. Ho viaggiato spesso in Italia e all’estero e, negli ultimi anni, l’ho appunto fatto in carrozzina. Seppur riconoscendo una certa attenzione alle barriere architettoniche, soprattutto da parte dei paesi dell’Europa centro-settentrionale (quell’attenzione che purtroppo il nostro paese quasi sempre non riserva), non ho mai vissuto un’esperienza del genere.
Dalla prima all’ultima città che ho visitato, dalla West Coast, alla Est Coast, non c’è stato luogo, attrazione, esperienza che io non abbia potuto vivere. Ho vissuto fin dal primo momento in cui ho messo piede nella prima meta del viaggio, un senso di libertà assoluta. Potevo andare ovunque e non dovevo chiedere per favore. Era tutto a portata di mano. Questo senso di libertà di movimento ha contagiato anche mio marito, tanto che, pure dove la conformazione geografica del territorio (e non la superficialità di progettazione dell’uomo), rendeva le nostre passeggiate più faticose, noi siamo riusciti a raggiungere ciò che volevamo raggiungere. Le strade di San Francisco, per esempio, sono famose per la loro assurda pendenza e ripidità, tanto in salita quanto in discesa, ovviamente. Nonostante questo, però, da soli o con l’aiuto di qualche persona del posto, abbiamo percorso a piedi l’intera città godendoci ogni singolo scorcio della baia. Abbiamo persino sfidato le leggi della fisica percorrendo in salita e in discesa una delle strade più belle e più famose di questa fantastica città californiana: Lombard Street. È stato molto molto faticoso, ma bellissimo!!
L’unica attrazione non accessibile alle carrozzine sono i tipici Cable Car, i tram che vanno su è giù per le strade della città con la gente che sporge in fuori. Anche in questo caso, però, l’ospitalità e l’apertura della gente del luogo, ha fatto sì che con un po’ di aiuto io potessi fare almeno una foto sporgendomi come tutti.
Ecco, l’attenzione e l’apertura degli americani verso la disabilità è davvero grandiosa. In questo viaggio ho toccato con mano, fin da subito, quanto il concetto di accessibilità sia prima di tutto una questione culturale.
Mi era già successo in passato di visitare paesi in cui le persone con disabilità sono libere di muoversi con facilità e in modo del tutto indipendente, confondendosi tra la folla, ma negli Stati Uniti tutto questo è ancora più forte ed impattante.
Da italiani, infatti, rimanevamo sbalorditi di quanto io potessi essere libera di entrare in un posto utilizzando un montacarichi senza chiedere a qualcuno il permesso, la chiave, l’autorizzazione, o essere accompagnata da un addetto. E siamo rimasti ancora più colpiti da come chi non rispetta le regole – come banalmente non utilizzare la porta di ingresso riservata alle persone con disabilità – venga immediatamente richiamato all’ordine.
Le porte di ingresso agli edifici: fantastiche. Tutte le volte che ti avvicini ad una di queste, c’è un tasto con il simbolo della persona in carrozzina che, schiacciandolo, la spalanca.
Oltre ad essere divertente, ti da spesso la sensazione che quello che ti si apre davanti è un ventaglio di infinite possibilità. La sensazione che provavo tutte le volte, andava al di là del gesto dell’apertura, del luogo e del momento. Quando sei seduto su una carrozzina (per quanto nel mio caso sia solo un mezzo che mi permette di fare delle cose, anzi più cose, in modo agevole e più veloce), anche queste piccole sfumature possono assumere un significato particolare. Perché da seduti si ha una prospettiva del mondo completamente diversa, anche se non sempre o non per forza limitante.
Questo viaggio, che mi porterò sempre nel cuore per una serie di motivi, mi ha permesso di comprendere come la prospettiva e il ventaglio di possibilità e di esperienze da vivere sia molto ampio. Non dipende solo dalla nostra immaginazione, determinazione, ma, in molti casi, da quanto e come i fattori esterni, ambientali e culturali, ci mettono nelle condizioni di allargare il nostro orizzonte.
Prima di partire, provando a definire i diversi itinerari che ci avrebbero guidato in quelle fameliche giornate di conoscenza e di scoperta del nuovo e del diverso, mi è capitato più volte di imbattermi in siti di musei e altre attrazioni turistiche. In questi giri di perlustrazione ho spesso notato che nella pagina dedicata all’acquisto dei ticket, non era mai prevista una categoria “disabili”. Bambini, anziani, veterani di guerra (questi ultimi sono tanti e facilmente individuabili negli Stati Uniti), ma disabili o invalidi, mai.
Negli ultimi anni, quasi sempre per caso, ho scoperto che musei, teatri, cinema e altri luoghi culturali o di divertimento, tendono a prevedere riduzioni o omaggi a specifiche categorie di persone, tra cui, per l’appunto, i disabili. Non trovando riscontro di questo anche nei siti americani, ammetto che inizialmente ho visto questa cosa come una mancanza, come una scarsa attenzione. Solo dopo, solo quando ero lì ho capito.
Negli Stati Uniti le persone con disabilità sono come tutte le altre: vanno in giro da sole, vanno a bere un caffè o a mangiare in un ristorante che ha le scale e non devono chiedere il permesso per poter utilizzare il monta scale; prendono un battello per fare una gita senza dover chiedere aiuto a qualcuno che sollevi la carrozzina (magari in quattro) per farli montare a bordo. E salgono all’ultimo piano di un grattacelo come l’Empire State Building di New York, o in cima alla Willis Tower di Chicago senza dover rinunciare neanche ad un pezzettino dello spettacolo panoramico.
Lì tutto è possibile, tutto è accessibile, anche le persone, che senza neppure chiedere ti fanno spazio per farti ammirare quanto c’è di bello, dandoti la possibilità di allargare la tua prospettiva, anche se sei seduto su una carrozzina e loro sono più alte di te. Anzi, se ti vedono intraprendente, ti danno una mano per issarti e per guardare ancora un po’ più in là.
Eh, questa cosa mi ha piacevolmente colpita e mi piacerebbe che fosse lo stesso anche in Italia perché credo che il biglietto gratuito o ridotto o il dover sempre chiedere a qualcuno di attivare mezzi e strumenti che ti permettono di superare barriere architettoniche presenti in ogni dove, non ci rendono uguali agli altri. Mi piacerebbe godere della stessa libertà e assaporare e praticare la stessa filosofia degli americani anche nel posto dove vivo tutti i giorni, perché non ho bisogno di agevolazioni, ma di essere messa nelle condizioni di vivere le infinite possibilità che la vita mi pone e di allargare la mia prospettiva senza che qualcuno mi si pari davanti.
Insomma, questo lungo e frenetico viaggio americano mi ha lasciato tante cose e quanto ho condiviso con voi è solo una minima parte. Il mio non vuole essere un elogio, ma sicuramente un riconoscimento ad un paese in cui la disabilità non è certamente un limite.
Per maggiori informazioni sul turismo sociale e accessibile in Italia
sono fantastici………………grazie………………..
Eh sì, Massimo, per alcune cose sono davvero fantastici, o comunque più avanti di molti altri. 🙂
Grazie a te!
Be’… io sono stata a Seattle, da sola, con 1 stampella… 🙂
Anche lì, come per quasi tutta la West Coast, le strade hanno una pendenza paurosa. Non è proprio così rosa e fiori per i disabili…, certo, le persone sono molto più disponibili che in Italia ad aiutarti (ci vuole poco) ma, tu disabile fai la fila come tutti gli altri (oltre ad incavolarsi se la salti, te lo fanno notare pesantemente; una volta da Barnes & Noble l’ho fatto perché non avevo visto che c’era una coda, mi hanno rispedita in fondo alla coda) e non tutte le porte hanno il tastino per spalancarle (Starbucks)! Inoltre se vuoi visitare un parco… la carrozzina o la stampella non aiutano e non vedi cosa vedono gli altri.
Ciao Marinella, Seattle è una delle città americane che mi piacerebbe visitare in futuro! Quindi wow! 🙂
Per quanto la mia esperienza sia stata molto molto positiva, è ovvio che nulla è perfetto e che c’è sempre da migliorare! E’ vero che sono molto precisi e attenti alle regole, vedi la questione delle file, ma ammetto che – soprattutto a New York – in molti musei e attrazioni, le persone con disabilità hanno la precedenza o comunque – questo anche in altre città – è prevista una fila separata, nel senso che cercano di creare dei gruppi di persone con difficoltà, in modo da poter permettere loro di essere accompagnati ad ascensori o altro, tendenzialmente sempre per via prioritaria.
Per le file in bar, fast food, e altri locali del genere, effettivamente segui la coda come tutti gli altri… ma credo che ciò avvenga un po’ in tutti i paesi. A dire il vero, però, ricordo bene che Shake Shack (catena che fa hamburger), da la priorità alle persone con disabilità. A me è capitato, sia a Las Vegas, sia a New York, di essere invitata a passare avanti dall’addetto alla gestione delle file.. e a Las Vegas c’era davvero tantissima gente! Era sabato… 🙂 Stesso non può dirsi invece da Starbucks.
Devo dire che nel nostro lungo giro tutti gli Starbucks che abbiamo frequentato si sono dimostrati accessibili ma sicuramente tra la miriade di negozi della catena ce ne saranno di certo molti che magari non lo sono o lo sono molto poco.
Infine, sempre per quanto riguarda la mia esperienza devo dire che in posti come l’Empire State Building, Ground Zero, Rockefeller, piuttosto che, per esempio, alla biblioteca del Congresso a Washington, per quanto ci fosse tanta gente smaniosa di ammirare panorami e vecchi libri antichi, quando si accorgevano di avere dietro una persona in carrozzina si spostavano per darle la possibilità di guardare. Sui parchi… beh, molti hanno al loro interno strade sterrate e selciati vari che ovviamente non rendono agevolissima la passeggiata (a meno che, nel caso della carrozzina, non ha degli optional ad hoc che ti evitano il disagio), ma tutto sommato si può fare. Ovvio che se viaggi un compagnia tutto è più semplice perché c’è sempre chi può darti una mano.
Come ho detto, però, la perfezione non esiste… neppure in America, ma sono molto più disabled friendly di molti altri paesi, compreso il nostro.
ciao alessia, hai trovato le parole giuste per descrivere questo bel senso di libertà che ho vissuto durante il mio viaggio in usa (sono andato con la mia famiglia in california per 2 settimane) è come dici tu: apertura totale delle persone, zero barriere. sei una persona come tutte le altre. bellissimo. grazie per il tuo bell’articolo. in usa ovviamente c’è un motivo per tutta questa attenzione verso la disabilità, le associazioni dei veterani di guerra sono molto potenti. ma comunque spero che — come in tutte le altre cose — l’america faccia tendenza e che prima o poi arriva anche qui questa cultura.
Ciao Jens, devo dire che le tue “cronache on the road” hanno creato in me un’aspettativa molto alta, aspettativa che come vedi ha trovato ampio riscontro anche nella mia esperienza.
Il senso di libertà e di ospitalità mi ha molto colpito e anche se, come dici tu, tanta attenzione è dovuta anche alla forza delle associazioni dei veterani, è altrettanto vero che è comunque bello che dei risultati di questo potere ne possano beneficiare indistintamente tutte le persone. E’ la dimostrazione di come le associazioni possono, lavorando al cambiamento della realtà di specifiche “categorie” di persone, cambiare la realtà di tutti. 🙂
Spero anche io che l’America faccia tendenza anche in questo, che ispiri altri paesi ad avere maggiore sensibilità verso questo tema. Purtroppo le leggi non sono sempre sufficienti se non vengono applicate.
Il biglietto gratuito o ridotto non è male…almeno è un piccolo vantaggio.
Quindi in America non è così? I disabili pagano il prezzo pieno nei musei?
Ciao Giuseppe, hai ragione, avere un biglietto gratuito o a prezzo ridotto è sicuramente un vantaggio… ma spesso capita a volte, soprattutto nei musei o in altri posti del genere, che la loro architettura non ti permette magari di vedere tutto quello che vorresti e che gli altri vedono.
Ecco perché dico che forse non è tanto avere un biglietto gratis che mi rende uguale agli altri ma piuttosto la possibilità di poter poter godere della bellezza di un posto, di un’attrazione o di qualsiasi altra cosa al pari di tutti gli altri.
In ogni caso questo è solo il mio pensiero personale. 🙂
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, come ho scritto nel post, tendenzialmente non sono previsti sconti e agevolazioni per le persone con disabilità che vogliono visitare un museo, un mostra, o altro.
Queste sono tendenzialmente riservate ad altre categorie, tipo famiglie, minori… ma quello accade anche in Italia. E’ altrettanto vero che ciò che ho scritto è quanto ho potuto riscontrare dalla mia esperienza e dall’aver girovagato un po’ tra i vari siti di attrazioni turistiche (le più famose, per lo meno).