Ciao sono il tuo neurologo, da oggi la tua vita non sarà più la stessa: hai la sclerosi multipla
Ecco come ho conosciuto il mio neurologo, più o meno penso sia capitato a tutti così.
Cosa dovrei pensare, come mi dovrei comportare? Rifiuto, rabbia smarrimento, paura. Dovrei ascoltarlo, obbedirgli ciecamente o ribellarmi a lui?
Non lo vedi che il mio mondo è crollato e tu mi metti dentro ad un protocollo, uno schema, fatto di parametri e linee guida. Parli una lingua incomprensibile e mi sottoponi a esami mai provati. Ho mille domande e paure ma non ci sei mai, mai abbastanza, quando ti cerco non sei mai abbastanza rapido a ricevermi. Ma io ho bisogno ora qui adesso, ma tu mi molli una terapia e mi mandi nel mondo.
Imparare a conoscere se stessi
Poi gli anni passano, in mezzo c’è un mondo, seconde opinioni di altri neurologi mal viste, domande (forse mal poste?) che fanno saltare i nervi ai neuro, cambi di terapie, ricadute e ripartenze. A volte c’è un po’ di distacco, a volte ci si arrabbia, altre ancora si decide di cambiare medico.
Insomma, dopo tutto questo, un appuntamento alla volta, una ricaduta alla volta, una risonanza dopo l’altra, impari a conoscere il nuovo te stesso, a comprendere la malattia e a comprendere come parlare al neurologo. Perché alla fine è con lui che devi fare i conti se ne vuoi uscire “vivo”.
Qualche anno fa, tutto questo percorso si è concretizzato, in una decisione condivisa tra me e il neuro.
Ero in terapia con natalizumab, (fui uno dei primi ad avere accesso alla terapia) ma dopo appena 16 mesi, sono risultato positivo al JC virus, un fattore rischioso per chi fa quella terapia.
Il piano era che saremmo arrivati a 24 mesi per poi passare al Gilenya, bene tutto ok, mi dispiaceva lasciare una terapia che con me aveva funzionato così bene, ma alla fine ero d’accordo a seguire le linee guida del farmaco.
C’era solo un problema, all’epoca, il farmaco, era tutto fuorché disponibile e senza una data certa di quando lo sarebbe stato. Quello che mi si prospettava, era uscire da una terapia che finalmente mi aveva dato il periodo più lungo di malattia senza ricadute a… il nulla.
Urge una soluzione
La cosa non mi allettava per niente, mesi e mesi senza terapia e nel mentre? Urgeva una soluzione, visto che il natalizumab era ancora una novità mi tenevo molto aggiornato su studi e articoli riguardanti quel farmaco. In uno di questi avevo letto che in determinate situazioni e per certi casi era tollerabile anche una infusione ogni 60 gg invece dei canonici 30. Ecco l’idea, proporre questa soluzione alla neuro, così da ridurre i mesi senza copertura in attesa della nuova terapia riducendo il pericolo di rebound e preoccupazioni varie.
La mia proposta, non era il frutto di un capriccio, o un idea nata da un improbabile articolo tratto da internet di dubbie origini ma, un idea che vedevo applicabile alla mia condizione, supportata da precedenti clinici documentati, inoltre ero pronto ad ascoltare eventuali dinieghi se giustificati chiaramente.
Ma come dirglielo? Per me era essenziale che in questa occasione venissi ascoltato, studiai attentamente dentro di me come pormi e quali parole usare. Preparai anche eventuali risposte a ipotetiche domande, che avrebbe potuto pormi e soprattutto evitare parole “detonatore”, ovvero quel tipo di parole che, avrebbero potuto incrinare o addirittura far naufragare il mio tentativo di trasmettere il mio messaggio.
“Dove hai tirato fuori questo asso nella manica?”
Insomma ero pronto, era giunto il momento, alla prima visita utile dopo i controlli di routine, sfoderai la mia proposta e dopo averla ben argomentata, la mia neurologa mi guardò con una accenno di sorriso come per dirmi “Ah sì? Dove hai tirato fuori questo asso dalla manica?”. Partì precisando quali erano le situazioni in cui la terapia era applicata con parametri di un infusione ogni due mesi e io pensai “ecco che mi boccia”. Dopo aver riflettuto disse che secondo la mia storia clinica era rischioso visto che la mia SM è sempre stata molto aggressiva e che in passato ogni vuoto terapeutico è stato occasione di una ricaduta ma, un’infusione ogni 6 settimane invece che 4 era fattibile.
Vittoria! Grande! Mitico! Non tanto perché la mia proposta era stata parzialmente accettata, per carità anche quello, ma soprattutto perché per la prima volta, mi sono sentito parte attiva e consapevole in una scelta riguardante la mia salute!
Costruire un buon rapporto col neurologo non è da poco, ne va dell’adesione alla terapia che si sceglie, la sincerità che mostreremo alle visite e lo stato d’animo che ci accompagnerà ad ogni incontro.
Insomma mi sono sentito di condividere questa storia perché per me fu un traguardo, un traguardo raggiunto dopo una lunga strada, di consapevolezza della mia SM e dalla mia salute, conoscenza della malattia e comprensione dei neurologi alle loro scelte.
Ciao, anche per me il neurologo è un problema, il primo che mi ha diagnosticato la sm l’ho sostituito dopo sei anni perchè quando ho chiesto di provare un farmaco che per la sm non era valutato molto bene ma per la incontinenza era portato alle stelle, si chiama Satifex ed è a base di thc , alla mia richiesta di poterlo provare lui mi disse che le sue informazioni non ne davano vantaggio per l’incontinenza e che semmai dovevo provare nel modo naturale, io non capivo ma poi lui si spiego meglio e mi disse di fumarla (la cannabis) al che risposi risentita che avevo smesso di fumare sigarette e non avrei ricominciato, anche perchè non mi vedevo ad andare a chiedere una dose di Marjuana come una povera disgraziata. E lì finì la mia avventura col primo neurologo il secondo mi dà ancora problemi sulla reperibilità, non riesco mai a parlarci, parlo sempre con le infermiere del reparto che pur se preparate non sono la stessa cosa.ed anche le visite sono divenute non più annuali ma biennali quindi ora sono a caccia di un nuovo neurologo, magari donna stavolta, chissa……