Antonella, insegnante di Lettere che convive con la SM da 4 anni, ha pubblicato questa testimonianza sulla sua pagina Facebook qualche giorno fa, riscontrando molte reazioni e commenti. Le sue parole spiegano bene cosa significa conquistare giorno dopo giorno consapevolezza e, come dice lei, la pazienza di conquistarsi un po’ di serenità, nonostante la SM.Ve la riproponiamo.
“Ho la sclerosi multipla, ma non dirlo a nessuno”.
Un tempo, ero anch’io così. Volevo tener nascosto un dolore che era solo mio e a cui non ero pronta, perché pensavo che avrei dovuto metabolizzarlo – dentro di me – prima di poterlo condividere con tutti coloro che rappresentavano “quell’altro” che popola il mondo.
Perché ho sempre pensato che noi tutti siamo quello che comunichiamo e, quindi, se testimoniamo dolore, gli altri acquisiranno e divulgheranno quella stessa percezione di dolore.
Un giorno, ho letto che le malattie danno il peso di essere sopportate e anche quello di essere tenute nascoste. Ma si nasconde solo ciò di cui si ha vergogna, ciò che si avverte come una colpa. Non una cosa che ti cade addosso, senza che tu l’abbia chiesta, né te la sia cercata.
Le malattie non possono addossarti anche il peso di farti sentire sbagliata. Ho imparato perciò – pian piano – il valore della testimonianza, perché le parole non dette, con il tempo, diventano macigni e non fanno altro che logorarti dentro e rubarti l’anima.
Per questo, ho deciso di parlare.
Curioso, quanto il passo decisivo di questa mia testimonianza sia andato a coincidere proprio con l’imprevisto, il primo dopo anni di convivenza forzata con la mia nuova compagna di viaggio. Quando pensavo di aver già capito tutto e invece – peccando di hybris, quella scellerata superbia – ero ancora all’inizio di un infinito cammino di scoperta. Gli antichi Greci l’avrebbero chiamata Tyche, quel destino dispettoso che si diverte a giocare con le nostre vite e a tesserci ripetuti tranelli.
Ora so che non è sempre possibile avere tutto sotto controllo e che l’imprevedibilità dovrebbe diventare la nuova unità di misura dell’imponderabile.
Perché fermarsi e chiedere aiuto non è segno di debolezza, ma è un atto di coraggio e soprattutto di amore verso se stessi. Ho capito che i pazienti devono imparare a essere pazienti. Forse è per questo che si chiamano così.
Come adesso. Tutti arrabbiati, tutti inquieti, tutti preoccupati e insofferenti a questo rischioso indefinito in cui ci troviamo a vivere da poco più di un anno. Io cerco di essere paziente, perché sto imparando ad aspettare. Perché so che un giorno questo finirà e noi ritorneremo, a poco a poco, alle nostre vite di prima. Anche se la netta divisione tra quel “prima” e “dopo”, che vale per tutte le malattie, temo sarà ormai irrevocabile. Non torna mai tutto, completamente, uguale a prima.
Io la pazienza la sto imparando perché ogni giorno convivo con la consapevolezza che tutto, da un momento all’altro, può improvvisamente cambiare. E questa non è rassegnazione, ma accettazione di tutto quello che non dipende da noi e che – ahimè – non possiamo cambiare. L’unica cosa che possiamo fare, però, è aspettare.
Sto imparando la pazienza aspettando il mio turno, nelle infinite sale d’attesa. Come quando, il giorno della risonanza di controllo, comunicano sempre la stessa fascia oraria per un intero gruppo di persone, dopo i mesi che ci hai messo per prenotarla. All’inizio non lo sai, e allora ti presenti puntuale come un orologio svizzero. Ma poi impari ad essere lì con sufficiente anticipo, perché invece vale sempre l’orario di arrivo e mai quello di prenotazione. Sai quando arrivi e non sai quando torni. E allora devi cercare di anticipare, se vuoi tornare a casa prima che la fame ti divori, perché non hai fatto colazione per via del liquido di contrasto.
Sto imparando la pazienza nel tubo della risonanza, chiudendo gli occhi per non morire di claustrofobia, in quell’interminabile ora trascorsa lì dentro, zitta e buona perché se ti muovi devono ricominciare tutto daccapo.
Sto imparando la pazienza nell’aspettare quella tanto desiderata risonanza “invariata”, perché magari sarà proprio la prossima a non mostrare nuove lesioni. E, quando questo accadrà, sarà un dono meraviglioso rinforzato dall’attesa.
Sto imparando la pazienza durante l’infusione endovenosa, perché all’inizio il tempo proprio non ne voleva sapere di passare, ma adesso è subito un “Loredana, ha già finito! Mi chiudi la flebo?”. O, quasi, so già farlo anche da sola. E non fa niente, se il braccio a volte mi diventa viola, tanto dopo qualche giorno tutto passa.
Sto imparando la pazienza nella coda di esenzione prioritaria, che tanto prioritaria poi non è, perché proprio quando è tardi è pieno di gente, e io devo salire subito in reparto.
Sto imparando la pazienza in quelle notti insonni, in compagnia dei miei fantasmi e delle mie paure più profonde, quando nel silenzio devo fare i conti con me stessa e con la voce della mia coscienza.
Sto imparando la pazienza nel vivere giorno per giorno, perché l’idea del futuro si è staccata da me. E non è pessimismo, ma solo un voler vivere il presente, nel qui e ora, senza quell’ansia del domani che divora.
Sto imparando la pazienza quando mi sveglio e son già stanca, ma soprattutto sto imparando ad averla con quelli a cui parlo della mia fatigue, per sentirmi dire che anche loro sono stanchi come me, perché è un periodo pesante per tutti.
Io però so che domani andrà meglio, ma se non sarà domani, allora spero sia dopodomani.Perché, un giorno dopo l’altro, quel futuro è già domani.
Io, di indole inquieta e impaziente, come una specie di contrappasso ho capito che la pazienza dobbiamo impararla a piccoli passi, scendendo ogni giorno a compromessi con noi stessi e con il mondo. Forse, è proprio questa la ricetta per la felicità, o forse almeno per un po’ di serenità. Con l’augurio che questi che stiamo vivendo siano giorni proficui di passione e, soltanto dopo, di resurrezione alla vita dal dolore.
Se vuoi condividere la tua storia scrivi a blog@giovanioltrelasm.it
Cara Loredana mi sono commossa leggendo la tua testimonianza perché mi rivedo perfettamente. È dura aver pazienza a volte ti viene proprio la voglia di mollare ma non me lo posso permettere ho una figlia adolescente e ha bisogno ancora di me della mia pazienza.
Non perdere la pazienza altrimenti perdi anche la battaglia e non esiste che gliela diamo vinta
Bello… bellissimo
Ieri è già il passato, domani è futuro che naturalmente ci è ignoto ma che forse un po’ è condizionato da come viviamo oggi perciò è meglio darci “da fare” adesso. Coraggio Antonella continuiamo a coltivare la forza, la determinazione e la dignità. Auguri cari
Parole che scaldano il cuore
Grazie mille, per le vostre belle parole! La pazienza e la forza che non credevo di avere saranno sempre una priorità per me, in un processo però di apprendimento continuo. Perché se he ha bisogno sempre di più e non sono mai abbastanza. E ogni caduta ha qualcosa da insegnarci.
Un caro abbraccio e in bocca al lupo a tutti noi!
Ciao, se mi posso permettere, ho la SM dal 1993, e se non ci mettessi pazienza, tanta pazienza non sarei qua!
E’ normale arrabbiarsi, tra i problemi della vita, e gli aggiungi quelli della SM, c’e’ poco da dire!
Non sai quante volte ho detto basta, non c’e’ la faccio più, poi ti calmi, rifletti e cerchi di ragionare, non c’e’ altro da fare.
Ti capisco.
Hai proprio ragione…. Provo tutto quello che provi tu.
Ho imparato a vivere giorno per giorno, a non programmare a lunga scadenza perché tutto può cambiare da un giorno all’altro.
Ogni mattina è un giorno nuovo e la prima cosa che faccio al risveglio è muovere le gambe… Se si muovono si affronta la giornata con tenacia…. e sempre con il sorriso..
Ciao, come ti capisco mi sono rivista in tutto quello che hai scritto.
Ti abbraccio forte ❤️
Dolcissima Antonella, in te mi rispecchio.
“Sclerata” da quattro mesi quindi la ferita sta sanguinando abbondantemente.
Vedere tante persone che, come me, devono affrontare grandi sfide mi fa sentire meno sola e mi fa capire che devo vivere al massimo ogni singolo momento del mio presente.
Ti sono vicina e sono vicina a tutti voi.
Vi abbraccio con tutto il mio amore e vi invio tanta positività e speranza.
Isabella
Ciao Loredana, mi sono rivista nelle tue parole e mi sono commossa, io dal 2008 ho la diagnosi di SM, ho un emiparasi sinistra e ancora in giro dico che ” Cammino così… Perché ho un ernia!!! “
Ciao Loredana, mi hai fatto rivivere tutto…compreso il rispondere a colleghi e amici che il tuo modo di camminare era dovuto a problemi di anche, sciatica o altro…ho la diagnosi dal 2000 e di pazienza ne ho avuta e né ho ancora tanta.
Un abbraccio a tutti
Ciao Antonella rivedo le stesse cose provate da te in quei momenti bui, ho iniziato a conoscerli a l’età di 24 anni, ho la fortuna di essere prima ragazzo di 24 anni ed adesso uomo di mezza età ho sempre parlato con tutti della mia patologia non me ne sono mai vergognato perchè ho detto non l’ho cercata io e nemmeno l’ho voluta ma adesso c’è ed allora la combatto giorno x giorno ho una figlia e non ho voglia che mi ricordi come un padre che non ha fatto nulla x lei, la mia ex preferito altro uomo ma chi se ne frega meglio così fortuna mia ad non avere una cosa come quella vicino sennò sai? Comunque la parola pazienza è quella che ti farà superare tutti gli ostacoli e vedrai che sarai sempre più forte degli altri noi a differenza di chi sta bene di salute apprezziamo di più le piccole cose che ti offre la vita non arrenderti perchè siamo e siamo più forti ciao principessa un grosso abbraccio e tanta forza…..
Ciao a tutti,io sono Vanessa,ho 36 anni e ho scoperto tutto per caso,tutto ebbe inizio un giorno d’estate era il 18 o il 20 di Luglio del 2020 e una mattina mi sono svegliata con un insolito formicolio al labbro destro,come quando vai dal dentista e ti fanno l’anestesia.Tutti mi dicevano di non farci troppo caso,sarà stress(ho un attività balneare di famiglia e sto tutto il giorno in piedi e sotto al asole) ma io ci facevo sempre più caso anche perché col passare dei giorni il formicolio saliva sempre solo da un lato,arrivando al naso,zigomo,poi facendo lo shampoo sotto la doccia mi sn accorta di non sentire l’acqua neanche in mezzo lato della testa,neanche quando mi spazzolavo,il mio medico curante a cui mi sono subito rivolta i primi giorni ha iniziato a farmi prendere delle vitamine dicendomi di nn preoccuparmi,ma io mi preoccupavo sempre di più anche perché mi mangiavo le parole quando parlavo,quando bevevo mi buttavo l’acqua addosso e quando masticavo mi pizzicavo tutta la lingua.A quel punto ho preso la macchina e mi sn recata in ospedale perché nn ne potevo più,mi hanno fatto subito una tac dalla quale non risultò nulla,ma quella dott mi consiglio’ una visita neurologica con urgenza.Da li iniziò la mia storia,già dalla 1 visita mi dissero subito senza neanche aspettare la risonanza che si trattava di sm …mi è caduto il mondo addosso e continuavo a chiedermi perché???…e piangevo piangevo,piangevo fino a star male,chiedevo sempre ai dottori se avrei potuto camminare,era lì che la mia testa si è fermata…poi ho fatto la 1 risonanza che ha dato conferma della diagnosi,ho iniziato col cortisone,poi a fare i vari esami,ho iniziato la terapia con tecfidera e l’ho fatta per circa 6 mesi,adesso ho dovuto interrompere perché mi sono crollati tutti i valori,per un mese nn ho preso nulla,non ho accusato alcun sintomo nel frattempo,ieri sn andata con la mia carpetta che va riempiendosi sempre di più dal mio medico e mi ha cambiato la terapia,stavolta devo fare il rebif,ho pianto tanto anche in questo caso perché io sono sempre stata sensibile ma adesso sn anche fragile,alla vista degli aghi,la macchinetta,il farmaco,ho avuto l’ennesimo cedimento,lunedì inizio e ho tanta paura,so dell eventuale febbre e sn molto preoccupata per questo sono venuta a leggervi… Sn quasi sempre sola in casa,vivo con il mio compagno da settembre al quale sento di addossare tutte le mie fragilità,il mio dolore e la mia rabbia e questa cosa mi fa arrabbiare tanto!Io vivo in un paese vicino a quello dv vivevo con la mia famiglia,vado a trovarli sempre,loro lo sanno tutti tranne mio padre che ha quasi 70 anni e ha avuto problemi di depressione e qualche anno fa una specie di ischemia,lui è troppo legato a me anche se siamo in tre figli,se solo lui lo sapesse morirebbe di dolore,infatti ho detto a tutti di non dire niente…Mi sento meglio,più leggera,forse era da luglio che avevo bisogno di parlare con qualcuno…. In bocca al lupo a tutti…
Stesso nome, stessa indole, stesse riflessioni… Ci chiamano pazienti e non malati perché la pazienza deve farla da padrona. Per noi è dura ma, prima o poi ci riusciremo.
Un abbraccio omonima carissima.