Da sempre, o almeno da quando ho iniziato ad addentrarmi all’interno dello strano mondo della SM, ho avuto come per istinto la necessità di far capire agli altri cosa mi stava succedendo, come mi sentivo, cosa provavo, soprattutto in quei momenti in cui sembra che nessuno possa capire o quando alcune frasi un po’ buttate lì con troppa leggerezza fanno venir la vampata di rabbia/scazzo.
Ma come fare?! A parole? Io?! Che manco agli esami dopo aver studiato roba teorica riesco a far un discorso senza incasinarmi e senza inserire in mezza frase un “belin” (uno dei più classici intercalari genovesi, non troppo elevato se inteso nel suo significato assoluto)?!
Un giorno in Università è arrivato un professore esterno che ha iniziato la lezione scegliendo una “volontaria poco volontaria” in aula dicendole di aprire e mangiare uno yogurt con un normalissimo cucchiaino indossando però un “agilissimo” guantone multistrato da neve probabilmente nemmeno della sua misura. Inutile dire che non è riuscita nemmeno a tirare la linguetta!
Ottimo modo per far capire a dei progettisti che il Design For All riesce veramente a cambiare la vita delle persone, no?!
E da lì, la visione: perché non spiegare la Sclerosi Multipla attraverso oggetti che cercano di riprodurre temporaneamente sintomi e disabilità! Dopo un anno di sperimentazioni questa visione si è tramutata in realtà tangibile diventando un kit procedurato di sensibilizzazione discretamente efficace e versatile, il Senti Come Mi Sento che ormai, con mia grande sorpresa, è diventato uno strumento condiviso da un po’ di Sezioni AISM in Italia.
Il punto di tutta questa premessa è che a volte non si hanno le parole giuste per esprimere in maniera efficace un concetto così grande e complesso come possono essere i sintomi della SM… ma che se si hanno altre capacità e attitudini, il giusto modo lo si trova comunque! Un po’ come posso aver fatto io e un po’ come può aver fatto Egle.
Egle è una ragazza con SM che ammette di non esser molto brava con le parole, e che nel tentativo di accettare la malattia decide di prenderla in giro, di sdrammatizzarla, di schernirla attraverso ciò che sa far meglio e che le piace di più: la fotografia.
Il suo è un progetto visivo quindi, che tende a rappresentare i sintomi che lei stessa sta provando in chiave tragi-comica. E’ anche un messaggio per tutte le altre persone con SM. Ecco le sue parole: “Il senso è accettare la malattia e giocarci, farci quello che vuoi… Allora inizi a guarire! Almeno inizi a fare pace con te stesso (che è già tanto). A me la fotografia ha salvato la vita, dai distacchi, dalle delusioni e ora me la sta salvando dalla malattia… La curo facendo terapia fotografica, la capisco e la sconfiggo, almeno ci provo.”
Vuole essere un messaggio di coraggio a tutte le persone in questa situazione. Ma secondo me va ben oltre! È un ottimo mezzo per far capire alle persone anche senza SM in modo pesante ma leggero, immediato ma da scoprire, cosa significa per esempio convivere con una diplopia o con un’emiparesi facciale.Lei dice che non è nulla di definitivo e io penso “Meno male!” perché, quasi come una sitcom che ti tiene incollato allo schermo, non vedo l’ora di vedere come interpreterà gli altri sintomi!
Ragazzii io dico una cosa Api atteggiamento positivo interiore io sono un mix perfetto mezza sicula e mezza napoletana e che dobbiamo fa con la sm e che amma fa ce la mangiamo noi sta malattiaaa regazzi io sono anticonformista per eccellenza lascio ol mio num se ci vogliamo fare due chiacchiere 3406710364
Ciao Alessandra,
lasciati lodare da una pugliese che come te lotta quotidianamente contro la sua sm con molta positività! Perché noi siamo GRANDIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII
Ciao se puoi rispondimi su questo blog