Non mi capita da tanto tempo, però ricordo molto bene quella sensazione.
All’inizio mi sentivo quasi cattivo ad utilizzare quella che chiamavo “la bomba a mano”. Funzionava un po’ così:
“Sai io ho l’invalidità, il 50 per cento”
“Ah sì, e come mai? Non mi sembra tu abbia qualcosa”
“Mah nulla di che, ho la sclerosi multipla…”
BOOM
“E me lo dici così??”
“Eh sì, sai…” (espressione che denota nonchalance)”
Era un po’ il mio modo di fare lo splendido, in realtà per nulla gradevole.
Una sorta di roboante dichiarazione di esistenza al mondo, che in realtà è soltanto difesa preventiva, quella che si applica per paura di essere attaccati, feriti – che provoca negli altri un senso di stupore e smarrimento.
Questa cosa è durata un po’, fino a scemare per poi scomparire del tutto lasciando lo spazio a un atteggiamento più equilibrato – complice anche il fatto che la diagnosi era passata da un po’ di anni, e da parte mia l’informare le persone della mia malattia è diventata un qualcosa di molto più gentile e meno foriero di attacchi cardiaci (per loro).
Passati gli anni mi sono trovato a riflettere su questa cosa, sul fatto che sì – tante persone reagivano in modo spaventato al mio “annuncio” ma tante altre rispondevano con un “e quindi? che problema c’è?”.
Spesso capitava che chi pensavo avesse più pregiudizi o paure reagisse con nonchalance alla mia dichiarazione-bomba, mentre chi reputavo (nella mia testa) più aperto reagiva con molta più paura.
Da questo ho capito una cosa: ho passato tanti anni a pensare che l’avere ricevuto una diagnosi di sclerosi multipla mi avesse dato una sorta di visione superiore e razionale riguardo i pregiudizi delle persone e in generale il modo di rapportarsi con le malattie. Dopotutto ero io quello che si era ammalato, che aveva dovuto fare tutta la trafila che ben tutti conosciamo, cosa potevano mai sapere gli estranei di tutto quello che avevo passato? Come potevano anche solo immaginare tutte le noie, la risonanza magnetica, il camminare male, la neurite ottica da un occhio solo che non mi faceva collimare la punta della sigaretta che avevo in bocca con la fiamma dell’accendino?
E però, cosa potevo sapere io, di quello che avevano passato tutti gli altri? Del fatto che magari la sclerosi multipla già la conoscevano, direttamente o indirettamente – o che potevano avere avuto a che fare con qualcosa di altrettanto brutto? Non ne potevo sapere niente, così come loro non potevano presumibilmente sapere niente di me.
E questo mi ha fatto arrivare a una piccola conclusione: in realtà, quello coi pregiudizi ero io.
In altre parole, quello che pensava che chiunque mi capitasse davanti fosse di default una persona con pregiudizi riguardo questa malattia ero solo io. Questo non vuol dire che il resto del mondo sia esente da questo difetto, ma quello che questa riflessione mi ha insegnato è che come io persona con sclerosi multipla chiedo giustamente di essere considerata una persona completa, così devo pormi nei confronti di chi la SM non ce l’ha.
Siamo tutti persone complete, e per quanto questo possa suonare banale il parlare della mia malattia con la gente mi ha aiutato un po’ di più a capire la verità di questa cosa.
Complimenti.
E stupida io. Sono ancora nella fase del “Vedo tutto diversamente, perché non ci vedo da un occhio e perché ho il privilegio di essere malata di sclerosi”. Per meglio dire, da questa fase ero uscita, dopo esserci entrata per una storia d’amore lunga 16 anni e finita proprio quando stavo peggio.
Ma poi il dramma: scoprire che un amico sclerato muore, che si può morire, e allora della bellezza e della completezza delle persone non riesco ad interessarmi, e la mia stessa scelta di limitare fortemente le relazioni, lo so, non è protezione degli altri, che non voglio coinvolgere nel mio male: è solo un urlo.
Sto urlando da un po’
Ciao mi chiamo Ubaldo anche io ho la sclerosi multipla però non sapevo che si poteva morire per la sclerosi multipla. Anzi ne sono sicuro! Comunque in bocca al lupo!!!
ciao io ho scoperto di essere malata di sm nel gennaio 2015 dopo una neurite ottic all’occhio sx.
Da quel giorno vivo con questo identico sentimento che hai descritto nel tuo post:tanta rabbia e voglia di urlare al mondo quello che ho dentro. Gli unici momenti in cui mi sento veramente a “casa” sono quando frequento le persone che vivono la mia stessa situazione come la sezione Aism della mia provincia o il convegno annuale giovani che questo anno non perderò assolutamente.
Spiegare alle altre persone quello che proviamo è come una lotta contro i mulini a vento. Nemmeno gli amici più cari capiscono quando parliamo con loro perchè siamo cambiati nel nostro modo passare il tempo con loro.
Non sprecare parole con chi non è capace di starci ad ascoltare è la tattica migliore!
Un abbraccio a tutti voi e non vedo l’ora di ritrovarci insieme a Dicembre a Roma