Poco più di due anni fa, a quest’ora, un’infermiera del Policlinico mi disse che era arrivato il momento della rachicentesi.
Non sapevo ancora che avrei dovuto aspettare cinque tentativi prima che facessero centro e potessero estrarre il liquido cefaloradichiano (è una di quelle parole che impari solo se ti succedono cose brutte) per verificare la presenza degli anticorpi che confermassero la diagnosi.
Abbracciavo forte quell’infermiera (vorrei tanto rivederla, prima o poi, solo per riabbracciarla) e tra il terzo e il quarto tentativo scoppiai a piangere perché il dolore era insopportabile.
Mi misero a pancia in giù su una barella, da lì mi portarono a letto e mi dissero che avrei dovuto aspettare almeno 24 ore prima di mettermi seduto o alzarmi.
Avevo solo il pappagallo (fare pipì sdraiati in posizione prona al momento è tra le tre cose più difficili che abbia mai fatto) e i dispostivi elettronici erano rigorosamente spenti.
Durante tutto questo tempo potevo vedere solo il muro davanti a me, un paziente sedato alla mia sinistra, la finestra alla mia destra e svariati aghi e tubicini qua e là.
24 ore senza fare assolutamente niente.
Assumendo antidolorifici.
Cercando di dormire.
Ricordando aneddoti del mio passato, vecchi amici persi per strada, ex mai realmente perdonate o egoisticamente ferite negli anni.
Tutto diventa assolutamente piccolo.
E maledettamente inutile.
Ma la cosa più curiosa di tutte è che a un certo punto rialzarsi da lì mi sembrava una roba impossibile da realizzare.
Non riuscivo a riposare perché avevo la sensazione di aver lasciato troppe cose in sospeso!
E non vedevo l’ora di tornare a casa e di rimettermi a scrivere quel romanzo o richiamare quella persona che mi ha sempre voluto bene nonostante fossi spesso troppo distratto per accorgermene. Volevo scattare in piedi e mettermi a correre e invece me ne stavo lì a fissare una cazzo di parete circondato dai bip dei macchinari. Un momento del genere non mi era mai capitato in tutta la mia vita e per certi versi sono sicuro che sia stato decisivo.
Forse a volte la vita non ci consente di andare alla velocità che vorremmo.
Forse a volte non abbiamo più pazienza e vorremmo essere altrove.
Credo che al momento questo sia un sentimento condiviso da 7 miliardi di persone.
Ma quando sono uscito da lì (perché, sì, a un certo punto mi sono rialzato, ho preso le mie cose e sono andato via) ho visto il tramonto più bello della mia vita.
Da allora faccio quel che posso affinché le cose possano andare bene per me e per le persone che amo.
Ed è questa, alla fine, l’unica cosa che conta.
Ho letto il tuo racconto con commozione ripensando a quei forti mal di testa e all’ impossibilità di restare in piedi dopo quell’ esame. Fortunatamente tutto passa e ritorna l’ alba di un nuovo giorno da vivere con serenità anche se portiamo con noi una cattiva compagna qual’è la SM. Coraggio la vita continua anche con i suoi alti e bassi. Saluti Elena
Grazie, Elena!
La vita continua, dici bene. E dobbiamo fare del nostro meglio per essere felici!
Davide, sei sempre immenso. ❤️
È come una parentesi nera che ci unisce, noi portatori di SM.
Leggo il tuo racconto con ansia e a tratti con gioia. Stesse sensazioni, stesse paure stessi drammi.
Io ho avuto un decorso un po’ diverso, ho avuto la sfortuna di non alzarmi subito da quel letto per una seria complicanze. Il mal di testa che sembrava essersi impossessato del mio corpo. E poi il peggioramento, notti passate a fare tac d’urgenza, purtroppo il peggio era capitato e quindi trasferimento in stroke unite e poi dolore e paura. Notti insonni, allarmi dei macchinari, infiermieri che ogni ora controllano se ci sei ancora. Vedere persone che arrivano, escono per delle “visite” e poi non tornano piu’. Sono esperienze che ti segnano maledettamente. Ma con tutto il travaglio e il dolore che si passa in quei reparti, una cosa è certa. È che quando riesci ad uscire da li con le tue gambe ti sembra di aver avuto un’altra possibilità, e che tramonto poi che ci godiamo!
Dai la rachicentosi non è così terribile, vomiti come l’esorcista quando ti portano in giro… ma nel sacchetto!
È poi a me l’ha fatta la mia Dottoressa, che ha fatto centro alla prima quindi gli ho regalato un fiala del mio liquido alla ricerca…!
Spero di non ripetere…
Grazie Davide! Il tuo racconto mi ha catapultato ad un anno e mezzo fa…..il ricordo di quel mal di testa assurdo….never give up!!!!! Un abbraccio
Grande Davide…un forte abbraccio!
Mia figlia Noemi nonostante i suoi 11 anni, è stata una vera e propria “donnina” forte e paziente! Lei era tranquilla e seppur i dolori erano forti, non si lamentava mai. Ho pianto io dacché è entrata in sala operatoria fino al trasferimento in stanza. Sono passati appena 2 mesi…ora fa le infusioni ogni 4 settimane al centro Sclerosi Multipla al II Policlinico. Un abbraccio Davide.
Grazie!
Un abbraccio a te!
Bellissimo il tuo racconto…beh si, dopo la diagnosi che ci cambia un po’ la prospettiva, i tramonti sono decisamente più belli…in bocca al lupo compagno di avventura (SM)
A me è successo da poco… Non riesco ancora a trattenere le lacrime quando dico ad alta voce a qualcuno che si, ho la SM. Mi guardano, con occhi strani, pieni di dispiacere, di parole non trovate, di emozioni che non sanno contenere… Mi è successo una mattina di fine ottobre, qualche giorno dopo quello che chiamo il mio secondo compleanno (perché sono quella che in inglese si definisce una “survivor”, sopravvissuta a due carcinoma mammari… La mia seconda possibilità io l’ho avuta e so cosa significa vivere senza rimpianti e/o rimorsi).
Lenta e graduale paralisi del corpo grazie a c5 infiammata: dal collo in giù. Mia figlia, solo 4 anni, si è avvicinata e mi ha detto: “mamma mi prometti che guarisci e torni a correre con me?” – “certo! ” ho risposto ma ancora non sapevo…
A metà febbraio, le mani d’oro del mio neurologo, hanno fatto centro al primo colpo, “senza anestesia signora, tanto lei è forte e poi le prometto che non sentirà quasi niente”… Quasi… 4 fialette anziché 3, perché una contaminata e poi quelle ore a guardare fuori dalla finestra o i film sul telefono, a pancia in giù, a pensare a chi non c’era più come il mio papà, alla mia piccola a casa, al mio lavoro che rischiavo di non poter più fare… Alla vita che si stravolge… Ti travolge… E poi finalmente alzarsi e andare in bagno, e poi a casa: uscire con le mie gambe dall’ospedale… Non è una seconda possibilità, è solo un’altra angolazione dello stesso gradino: un modo per farmi vedere la vita, le occasioni, le difficoltà da un’altra angolazione. E fa paura. Nonostante tutto, fa paura.
Ciao Davide.
L’unica cosa che devi fare è essere sempre convinto che sei più forte tu! La stessa cosa tua l’ho vissuta 20 anni fa ed ero anch’io giovane e pieno di vita come te. Devo dire che tante cose sono cambiate, si certamente, non è come un raffreddore di stagione, però la forza e la speranza non mi hanno ma e ribadisco mai abbandonato e mi sono anche convinto che questa sia stata la mia salvezza perlomeno fino ad oggi. In questa malattia ci vuole anche una certa dose di fortuna proprio come mi disse il primo dottore che mi ha seguito e questa frase non la dimentico perchè disse proprio testuali parole: “non è questione di cura ma è soprattutto questione di culo” e forse io per adesso sarò stato fortunato ma ce l’ho fatta a portare avanti la mia vita con molte soddisfazioni e poche rinunce, logicamente non senza cure che mi hanno anche messo alla prova ma che forse sono servite a mantenere la situazione abbastanza stabile. Oggi ho 50 anni e ho scoperto di avere pure un’altra malattia ugualmente grave e forse ancor più dolorosa, ho deciso che metterò alla prova la mia infinita voglia di vivere e lotterò senza tregua fino alla fine delle mie possibilità, continuando a gustarmi in pieno ogni tramonto e sperando di perdere qualche battaglia ma di vincere la guerra. Ti auguro tutta la fortuna del mondo riguardo alla SM e spero che il mio contributo ti faccia forza e ti faccia soprattutto riflettere sul fatto che nella vita non si sa mai quale sia il male peggiore e per questo bisogna combattere e godersi ogni momento che ci viene regalato.
Nico
Che belle parole che ho letto. Così tanto vicine e comprensibili senza tanti giri di paroloni medici. La rachicentesi, o puntura lombare, o come diavolo te la vogliono dipingere, è uno shock. La prima volta ancora non lo sai, ed è tutto vero quello che hai scritto. Ma quando le terapie iniziali falliscono e ti appresti a tentare la seconda opzione, e ti dicono “la dobbiamo rifare per essere sicuri” non puoi dargli torto. Ma che non ci vengano a dire “ma l’hai già fatta una volta, vedrai andrà meglio adesso” , perché tu arrivi lì cercando di prepararti mentalmente, e poi scoppi e non ce la fai a restare “maturo e adulto” . Grazie alle infermiere nerborute e decise, pronte a bloccarti sul nascere dell’isteria e del delirio mentale. Vi ricordate il film “non si uccidono così anche i cavalli? ” . Poi passa, ne esci , non sai bene cosa hai perso lì dentro, ma sai cosa hai guadagnato: ti ritrovi nella primavera e nel mezzo dei profumo dei gelsomini in fiore. Hai vinto tu, e la SM è in svantaggio di un punto. Avanti così.
Ciao Davide. Mi hai fatto capire quanto sono stata fortunata tanti anni fa! Io la chiamo puntura lombare…avevo 33 anni, adesso ne ho 50, e ricordo una grande paura che poi svanì grazie alla competenza e bravura del Prof. re Patti del policlinico di Catania. Fu lui di persona personalmente, utilizzo una frase di Camilleri, a farmela. Mi disse di stare rilassata e già la stava facendo…non ho sentito nulla. Da allora sono trascorsi parecchi anni e , ringrazio Dio, i miei angeli custodi ed il prof.re Patti, non ho avuto nessuna ricaduta. I tacchi sono un must e mi auguro che continui così per il resto della mia vita. Naturalmente la stessa cosa spero , anzi ne sono certa, accada a te e a tutti quelli che combattono ogni giorno contro “la bestia” , come mi piace definire la sclero. Take care of yourself!