“Voglio tornare a parlare d’altro”: il messaggio della storia che pubblichiamo oggi non è un invito a trascurare la sclerosi multipla. È ben altro. È un altro modo per dire che noi non siamo la sclerosi multipla, che attraversiamo tutte le sfide che ci si presentano davanti, ma non vogliamo rinunciare alla nostra vita, soprattutto alle piccole cose che fanno della vita una vita normale: le bollette, la spesa, il lavoro, le relazioni.
Oggi ho ballato, ho brindato.
Il Sirah rosso ha volteggiato elegante e tenace. Una chitarra flamenco era sostenuta da un tappeto percussivo, malinconica e persistente.
Oggi ho ballato con il mio corpo, ho brindato alla fatica che si è messa un poco da parte oggi. Oggi sono riuscita a farmi la doccia, lo shampoo e ad asciugare i capelli dopo la corsa. Ho corso quaranta minuti e sono riuscita a lavarmi in piedi, senza poggiarmi alla parete, senza sostenermi al pavimento dalla fatica, senza accasciarmi sul letto appena rientrata. E i miei occhi vedevano bene. Senza rabbuiare la stanza, senza sdoppiare la vasca.
Oggi, per poco più di un’ora, mi è sembrato quasi di avere il mio corpo di prima. Anche se prima correvo un’ora e un quarto. E la mia giornata iniziava, non finiva, come ora.
Oggi, addirittura, ho avuto il coraggio di scrivere questo, perché so che andrà a migliorare, forse il peggio è passato, tornerà, certo, nella mia vita tornerà il peggio, ma per il momento è passato. Voglio crederci. Tra qualche mese starò meglio, tra due anni starò bene. […]
La prima pillola della nuova terapia orale mi ha riportato a otto anni fa, all’anno della diagnosi, alla prima puntura che feci da sola nella mia casa a Lisbona. Ricordo il dolore dell’ago, ricordo il dolore del farmaco che si espandeva nel corpo, ricordo quel dolore metafisico di essere per sempre dipendente. Io, che avevo fatto dell’autonomia la mia certezza di vita, dovevo ammettere a me stessa che sarei stata per sempre legata a delle medicine che mi avrebbero, forse, permesso di fare una vita quanto più normale. Ho iniziato a bucarmi, ogni giorno, alle 15 circa, dopo qualche anno SOLO tre volte alla settimana, quindi, da quel momento solo al culo, tanto vale rovinare una sola parte del corpo, piuttosto che pancia, cosce, braccia.
Dopo sette anni fermare tutto. La risonanza magnetica riporta almeno otto nuove lesioni attive. Vabbè, cosa sarà mai. Almeno otto nuove lesioni attive. Sto bene. La risonanza sarà sbagliata, forse non è la mia. Ancora credevo che ci fosse stato un errore, ho sempre sperato che tutti si fossero sbagliati, che in fondo io la sclerosi multipla non ce l’avessi per davvero, in fondo, al di là di qualche ricaduta, stavo bene. Gli unici impedimenti erano gli effetti collaterali del farmaco, in fondo, la malattia non la sentivo; non si vedeva, quindi, era come se non esistesse.
Invece adesso lo so che c’è. Adesso so che faccia ha, la maledetta subdola malattia di merda.
Cosa pensavo, che mi avessero riconosciuto un 74% di invalidità perché ero intelligente e simpatica?
È questo il prezzo da pagare. “È questo il prezzo da pagare” mi ripeteva sempre un vecchio neurologo ad ogni segnalazione di un violento effetto collaterale della terapia. Ho una malattia autoimmune neurodegenerativa, cosa pretendevo, di avere una vita dove le uniche preoccupazioni fossero le bollette da pagare, i traumi infantili da superare, il riconoscimento sociale, il lavoro, le relazioni, la spesa, i piatti da lavare, le mezze stagioni e i sogni fa coltivare?
Con la sclerosi multipla ho capito una cosa: una persona con sclerosi multipla vive tutto questo, ma con più il carico enorme di un avere un macigno fisico e psicologico su ogni singola parte del proprio corpo. Un corpo che si trascina, che smette di obbedire alla volontà personale, che diventa protagonista. E io, l’io, tagliato fuori dalla sua, già di per sé, difficile vita. È questa la malattia. Il fatto che non si veda, non vuol dire che non esista. E invece l’ho vista, in questi mesi, l’ho vista ogni giorno che mi costringeva a letto, a non riuscire a fare nulla della mia vita di prima, l’ho vista che mi dipingeva di nero le pareti della mia casa a forma di gabbia, che non mi permetteva di essere me stessa. L’ho conosciuta, la fatica di vivere, la fatica di imporsi a non buttarsi giù, perché altrimenti è peggio, altrimenti lei si impossessa di ogni sinapsi e non te la restituisce più.
L’ho conosciuta la sclerosi multipla, dopo sette anni dalla diagnosi, c’è esiste, e ai miei occhi, la vedo benissimo.
Mi sono stancata di essere stanca. Mi sono stancata di non farcela. Mi sono stancata di scendere a continui compromessi se vivere oppure provare ad essere felice. Ma non è il momento, ancora. Devo raccogliere tutte le mie esigue forze per riempire il giorno e non crollare.
Vorrei solo che qualcuno mi abbracciasse e mi dicesse che andrà tutto bene, che è andato tutto bene. Che il mio povero corpo, tanto vituperato, tanto combattuto, è sì, un nemico per sé stesso, ma che ce l’ha sempre fatta al meglio.
Voglio stare meglio. Voglio riprendere tutta la mia vita, tutta, tutta la forza fisica e di spirito che avevo quest’estate, voglio tutto quello che avevo, voglio tutto, è mio, sono io e non la mia malattia.
Voglio vivere banalmente, una vita ordinaria, fatta di bollette da pagare, traumi infantili da superare, riconoscimento sociale, lavoro, relazioni, spesa, piatti da lavare, mezze stagioni e sogni fa coltivare.
Voglio tornare a parlare d’altro, di bollette da pagare, traumi infantili da superare, riconoscimento sociale, lavoro, relazioni, spesa, piatti da lavare, mezze stagioni e sogni fa coltivare.
Voglio che la parola chemioterapia sia lontana, che la parola malattia riguardi solo il mio lavoro, che torni ad avere la forza di correre settantacinque minuti. Voglio cambiare argomento. Voglio tornare ad avere non solo la forza di vivere, ma anche, ogni tanto, di essere felice.
Voglio ballare e brindare alla salute, a tutto il resto.
Se anche tu vuoi condividere la tua storia su questo blog puoi scrivere a blog@giovanioltrelasm.it
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