Amo il freddo.
Amo le giornate di sole a gennaio, quando esci di casa la mattina e c’è un singolo grado sopra lo zero, tutto solo.
E tu e lui – il singolo grado – fuori con sopra il cielo azzurro di quell’azzurro quasi finto da quanto è saturo.
Eppure non è facile amarlo, il freddo. Non vuole farsi voler bene, quando cerca di tagliarti la pelle facendola arrossare, eppure.
È uno di quegli amori che ti fanno vibrare i pensieri, che – quando realizzi che c’è – capisci di avere sempre avuto dentro.
È quell’amore, lo capisco ora, che mi aveva spinto ad andare in Islanda a cercare un’essenzialità, una serenità forse; a scappare da quel senso di inadeguatezza perenne per andare in capo al mondo solo per vedere un’aurora boreale, che quando la vedi realizzi che c’è tutto un universo che ti si muove intorno, in ogni momento, qualunque cosa tu faccia, anche adesso.
Ma il punto è che in realtà il freddo è soltanto una manifestazione di un qualcosa che è sempre stato con me, che è l’aria.
Aria è la mia parola che tengo, l’aria mi ha sempre tenuto e mi è sempre stata addosso.
Poche settimane fa, ma è un racconto che viene fuori ciclicamente, pensavo ai racconti di mio padre di quando ero piccolo e andavamo in barca: gli chiedevo di andare veloce, e quando lo faceva il vento mi faceva lacrimare gli occhi. Tanti anni prima della sclerosi multipla, tanti anni prima che mamma smettesse di esserci, tante vite fa.
E pensavo a quando col gruppo di disgraziati pattinatori andavamo giù veloci dal ponte della ferrovia a Pisa alle undici e mezza di sera, accovacciati sui pattini per offrirle meno resistenza e per andare più veloci. Senza luci, senza catarifrangenti, due colpi di pattino dall’inizio della discesa e poi chiusi a uovo sperando che non sbucasse un’auto all’improvviso. E la sclerosi multipla stava per arrivare – o meglio c’era già, ma ancora non lo sapevo. Però sugli occhi c’erano le stesse lacrime di tanti anni prima, per lo stesso motivo.
E dopo l’arrivo della sclerosi multipla l’aria l’ho conosciuta un po’ più in alto, ho scoperto che è piena e solida, che ti può sollevare l’ala del motoaliante quando meno te l’aspetti – come a farti un dispetto – e che può tenerti in volo se solo le ti muovi contro abbastanza velocemente.
E quando sono per aria da solo, dentro un guscio di carbonio e metallo appeso a quindici metri di ali, le lacrime forse scendono ancora per lo stesso motivo.
È il mio posto, e quando non ci vado per troppo tempo rischia di sopraggiungere il rumore.
Rumore è la parola che lascio, ed è tutto ciò che è disarmonia. È l’essere fuori fase o meglio: è il concetto stesso di fuori fase, il concetto di tante piccole onde armoniche che vengono rotte da un qualcosa di discordante.
Come quel personaggio di un libro che ho letto tanti anni fa, che sentiva tutte le note che c’erano tra quelle di una normale scala, e siccome tra una nota e un’altra ci possono essere infinite gradazioni di suono – e lui sentiva tutto, non trovava un’ordine e impazziva.
La sclerosi multipla è solo rumore e disordine che cerca di esserlo sempre di più.
L’aria fredda forse un po’ la può calmare, ma anche se la fa tremolare un po’ a me per ora va bene così.
Apparte questo video dai suoni psichedelici che la mattina presto mi ha fatto uno strano effetto 😛 Ti ho immaginato piccolo sulla barca,ad uovo sui pattini e al freddo e sono riuscita a sentire l’aria sulla pelle e forse sovrastata dal rumore qualche lacrima fa capolino….
Sono d’accordo con te, Ila. Gabri sei riuscito a farmi sentire il freddo, l’aria.. il rumore. E finalmente dopo tanto tempo.. sei riuscito a far vedere un pezzo importante di te. 🙂
Mi sono venuti i brividi..e non solo per aver sentito il freddo 😉
Gabry… Che dire….Riesco a sentire in ogni tua parola la tua immensa sensibilità… Sei riuscito a descrivere perfettamente quella sensazione di lacrime che scorrono sul viso… Grazie per aver condiviso una parte di te… a prestissimo!! Un bacio e CONTINUA A VOLARE!!!
Percentuale di “disvelamento” raggiunta con questo post: 80%
Ed è anche terribilmente poetico.